Luigi Cadorna – La disfatta di Caporetto

S:2 – Ep.49

Luigi Cadorna è una persona qualunque.

Luigi nasce a Pallanza il 4 settembre 1850, figlio di Raffaele Cadorna, a sua volta un generale e politico italiano che fu al servizio prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia.

La sua carriera militare parte nel 1860 quando fu avviato dal padre agli studi militari: dapprima alla Scuola militare “Teulié” di Milano e cinque anni dopo all’Accademia Reale di Torino, poi ammesso come allievo nella neonata Scuola di Guerra di Torino venendo nominato sottotenente nell’arma d’artiglieria nel 1868.

Capitano nel 1880, nel 1883 venne promosso al grado di maggiore e assegnato allo Stato Maggiore del Corpo d’armata del generale Pianell, assunse la carica di capo di Stato Maggiore del comando divisionale di Verona e nel 1892 venne promosso colonnello, ottenne il primo incarico operativo in qualità di comandante del 10º Reggimento bersaglieri, mettendosi in evidenza per la sua rigorosa interpretazione della disciplina militare e per il frequente ricorso a dure sanzioni che gli costeranno anche richiami scritti dai suoi superiori.

Nel 1896, abbandonati gli incarichi operativi, assunse la carica di capo di Stato Maggiore del Corpo d’armata di Firenze; durante la licenza del Comandante Gen. Morra, nel 1898, con la promozione a tenente generale, entrò a far parte della ristretta cerchia degli alti ufficiali dell’esercito.

Nel 1905 assunse il comando della divisione militare di Ancona e nel 1907 fu a capo della divisione militare di Napoli con il grado di tenente generale, giungendo infine ai massimi vertici delle forze armate, nello stesso anno venne fatto per la prima volta il suo nome come possibile successore del generale Tancredi Saletta, che godeva di pessima salute, alla suprema carica di capo di Stato Maggiore dell’esercito.

Divenne capo di Stato maggiore generale nel 1914, dopo l’improvvisa morte del generale Alberto Pollio con cui aveva sempre avuto scontri diplomatici in passato, e diresse le operazioni del Regio Esercito nella prima guerra mondiale dall’entrata dell’Italia nel conflitto, il 24 maggio 1915, fino alla disfatta di Caporetto.

Secondo quanto previsto dal trattato della Triplice Alleanza, Cadorna cominciò a organizzare l’esercito per l’intervento contro la Francia, a causa della assoluta mancanza di comunicazioni tra politici e militari non fu informato del fatto che il governo stava studiando la possibilità di abbandonare i suoi attuali alleati.

Il 31 luglio, lo stesso giorno in cui il gabinetto decise la neutralità, Cadorna inviò al Re il suo piano di guerra che contemplava lo spiegamento di un intero corpo d’armata a fianco della Germania contro i francesi, piano che venne approvato da Vittorio Emanuele il 2 agosto, mentre contemporaneamente veniva proclamata la neutralità.

La confusionaria situazione politica non mise nessuno in allerta sulle prese di posizione del Capo dello Stato Maggiore dell’esercito, che nell’arco di poche ore in base agli accadimenti politici erano radicalmente cambiate, sempre senza nessuna valutazione delle proprie forze in campo.

Agli inizi di ottobre del 1914, Cadorna incarica il generale Vittorio Zupelli di preparare l’esercito ad una guerra ormai prossima, nelle intenzioni di Zupelli vi era il disegno di rendere operativi e armati, entro la tarda primavere del 1915, 1.400.000 uomini.

Dopo le prime disposizioni per una mobilitazione parziale segreta il 23 aprile, il 4 maggio con l’uscita dell’Italia dalla triplice Alleanza viene avviata la mobilitazione generale nella prospettiva di scendere in guerra contro l’Austria-Ungheria entro il giorno 26 dello stesso mese.

Cadorna così formò e armò un grande esercito, facendo anche costruire numerosi tracciati per rifornirlo di uomini e mezzi, tra cui la strada Cadorna, non ebbe però modo di comprenderne appieno tutti i punti di forza e debolezza, e concepì in termini quasi assoluti il proprio comando, ispirandosi a principi di rigidità e dura disciplina.

L’avvio delle operazioni militari si ebbe il 23 maggio, le forze in campo di Cadorna erano impressionanti, 35 divisioni di fanteria, 9 divisioni di milizia territoriale, 4 divisioni a cavallo e una divisione di fanteria speciale dei Bersaglieri, 52 battaglioni di Alpini,14 battaglioni di genieri, diversi battaglioni di Carabinieri e Guardie di finanza, l’artiglieria contava 467 batterie e quasi 2000 pezzi tra cannoni e obici.

Secondo i piani di Cadorna la 2ª e la 3ª armata avrebbero sfondato facilmente le deboli difese austriache per poi avanzare rapidamente verso Lubiana e da qui minacciare direttamente Vienna.

Le forze vennero fatte avanzare lentamente verso il corso dell’Isonzo contro una debole resistenza subito dopo il confine, ma dopo alcuni scacchi iniziali, costati pesanti perdite, il 16 giugno il Monte Nero venne conquistato da un fulmineo assalto di sei battaglioni di alpini mentre le restanti vette rimasero in mano austriaca.

Il comportamento dei generali comandanti delle grandi unità non fu all’altezza della situazione: l’avanzata fu condotta con troppa cautela, tanto che Cadorna destituì il comandante della cavalleria, d’altro canto Cadorna pensava che buona parte dei generali, selezionati durante il tempo di pace, fossero inadatti alle esigenze belliche.

A ciò aggiunse un elevato senso del dovere che tutto sacrificava all’ottenimento della vittoria, in quest’ottica, pur non mancando di alcune intuizioni tattico-strategiche, fu essenzialmente un convinto sostenitore dell’assalto frontale a oltranza per mettere a dura prova il nemico asburgico, nonostante ciò comportasse perdite enormi di uomini anche per l’esercito italiano.

Di conseguenza, per oltre due anni continuò a sferrare durissime e sanguinose “spallate” contro le munite linee difensive austro-ungariche sull’Isonzo e sul Carso, ottenendo modesti risultati di avanzamento territoriale.

Nel 1916 ottenne successi più consistenti, quando l’esercito italiano, grazie alla superiore logistica, arrestò l’offensiva degli Altipiani e riuscì ad occupare Gorizia, sull’onda di questi eventi, Cadorna accentrò ancor di più nelle sue mani la condotta della guerra e inasprì la sua fermezza.

In particolare introdusse tramite ordinanza, nel novembre, il ricorso alla decimazione, pratica risalente all’antica Roma e assolutamente non prevista dal codice penale militare, atto che fu disapprovato con fermezza anche dalla Commissione d’inchiesta di Caporetto che la definì un «provvedimento selvaggio, che nulla può giustificare».

La decimazione era uno strumento estremo di disciplina militare inflitto ad interi reparti degli eserciti per punire ammutinamenti o atti di codardia, uccidendo un soldato a caso ogni dieci contati, la parola deriva dal latino decimatio che significava “eliminare uno ogni dieci”.

Le battaglie del 1917 logorarono ulteriormente il fronte austriaco, ma il crescendo di ingenti perdite, spietata disciplina, ed eccessiva rigidità imposta alle sue truppe, contribuì con altri fattori al drammatico crollo di Caporetto, frutto dell’offensiva austro-tedesca del 24 ottobre, che lo colse di sorpresa e costrinse l’esercito a battere in ritirata fino alla linea del Piave.

L’uscita della Russia dalla guerra a seguito della rivoluzione bolscevica cambiò la situazione strategica liberando ingenti forze tedesche che, dopo due mesi di addestramento e allenamento in Slovenia alla tecnica dell’infiltrazione, furono indirizzate contro il fronte italiano allo scopo di sollevare l’Austria da una situazione vicina al collasso.

Di conseguenza Cadorna ordinò la difesa a oltranza che comportava lo scaglionamento in profondità delle artiglierie e delle truppe allo scopo di sottrarle alla prevista violenta preparazione dell’artiglieria nemica, ma questi ordini non vennero eseguiti dal comandante della seconda armata che aveva erroneamente valutato le sue forze alla pari di quelle avversarie.

Sul fronte dell’Isonzo, Cadorna aveva disposto, a sud, sulla riva destra, la 3ª Armata comandata dal Duca d’Aosta e a nord, sulla riva sinistra, la 2ª Armata, comandata dal generale Luigi Capello e costituita da otto corpi d’armata.

L’offensiva austro-tedesca ebbe inizio alle ore 2.00 del 24 ottobre 1917 con tiri di preparazione dell’artiglieria, prima a gas, poi a granate fino alle 5.30 circa e verso le 6.00 cominciò un violentissimo tiro di distruzione a preparazione dell’attacco delle fanterie.

L’attacco delle fanterie cominciò alle ore 8.00 con uno sfondamento immediato sull’ala sinistra, nella conca di Plezzo sul fianco sinistro della 2ª armata, tale parte di fronte era presidiata a sud, a metà strada tra Tolmino e Caporetto, dal 27º Corpo d’armata di Pietro Badoglio che aveva schierato nel fondovalle soltanto una compagnia annientata dai gas.

Il vero disastro, infatti, cominciò quando il nemico arrivò a Caporetto da entrambi i lati dell’Isonzo perché poté facilmente aggirare l’intero IV corpo e la mancata risposta delle artiglierie italiane sul fronte è una delle ragioni accertate dello sfondamento e la mancanza di riserve dietro il 4º Corpo d’armata fu senz’altro uno dei motivi principali che contribuirono alla disfatta.

A seguito della caduta del fronte e del rischio che venisse tagliata la ritirata dell’esercito, Cadorna la notte del 26 ottobre ordinò il ripiegamento generale sulla destra del Tagliamento.

Il 28 ottobre Cadorna inviò il bollettino di guerra n. 887 con cui scaricò tutte le responsabilità dello sfondamento del fronte sui soldati italiani:

«La mancata resistenza di riparti della II° Armata vilmente ritiratisi senza combattere, o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia.»

Cadorna diede ordine al generale Antonino di Giorgio di assicurare il possesso del tratto di fiume garantendo lo schieramento sul Tagliamento in pianura, ma fra il 30 ottobre e il 3 novembre nella battaglia di Ragogna gli austriaci riescono ad avere ragione sulle forze italiane e passano il Tagliamento costringendo gli italiani incapaci di tenere la linea del fiume ad attuare una confusa ritirata strategica verso il Piave.

Ritenuto responsabile della disfatta, da lui invece attribuita alla scarsa combattività di alcuni reparti, venne sostituito dal generale Armando Diaz.

Ma questa, è un’altra storia.

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