S:2 – Ep.47
Mi risulta veramente difficile, come mai da quando faccio questo podcast, iniziare con la frase tormentone che la contraddistingue ma vorrei che la interpretaste come un omaggio alla sua persona, e quindi dirò che: Gabriele D’Annunzio è una persona qualunque.

Nacque a Pescara Vecchia il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese benestante, terzo di cinque figli, visse un’infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità, dalla madre, Luisa de Benedictis ereditò la fine sensibilità; il temperamento lo acquisì dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta-D’Annunzio.
Gli anni 1881-1891 furono decisivi per la formazione di D’Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma da poco divenuta capitale del Regno, cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica.
Tra il 1891 e il 1893 D’Annunzio visse a Napoli e nel 1897 volle provare l’esperienza politica, vivendo anch’essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della Destra storica, nel 1900 passò nelle file dell’Estrema sinistra storica, espresse anche vivaci proteste per la sanguinosa repressione dei moti di Milano da parte del generale Fiorenzo Bava Beccaris, dal 1900 al 1906 fu molto vicino al Partito Socialista Italiano.
Se ci seguite da tempo sapete bene che il nostro podcast, quando parla di personaggi altisonanti come D’Annunzio, lascia a voi la libera espressione di informarsi su ciò che ha fatto come scrittore, poeta, drammaturgo, politico, giornalista e simbolo del decadentismo, noi ci occuperemo di lui come quello che fu, anche, come celebre figura della prima guerra mondiale.
Soprannominato il Vate allo stesso modo di Giosuè Carducci, cioè “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina, o anche “l’Immaginifico”, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.
Il giovane D’Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà, nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera da giovane studente, una raccolta di poesie che ebbe presto successo.
Accompagnato da un’entusiastica recensione critica sulla rivista romana Fanfulla della domenica, il libro venne pubblicizzato dallo stesso D’Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo, lo stesso D’Annunzio poi smentì la falsa notizia e dopo aver concluso gli studi liceali giunse a Roma e si iscrisse alla Facoltà di Lettere, dove non terminò mai gli studi.
Nel 1915 ritornò in Italia da Arcachon, sulla costa atlantica, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente un’intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e del Risorgimento e richiamando la figura di Giuseppe Garibaldi.
Con lo scoppio del conflitto con l’Austria-Ungheria, D’Annunzio, nonostante avesse 52 anni, età di un certo peso agli inizi del 1900 dove le aspettative di vita erano nettamente inferiori a quelle odierne, ottenne di arruolarsi come volontario di guerra nei Lancieri di Novara, partecipando subito ad alcune azioni dimostrative navali e aeree.
Per un periodo risiedette in località vicine al Comando della III Armata nel Friuli, a capo della quale era il suo estimatore Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta e svolse ciò che sapeva fare meglio, la sua attività in guerra fu prevalentemente propagandistica, fondata su continui spostamenti da un corpo all’altro come ufficiale di collegamento e osservatore.
Ottenuto il brevetto di Osservatore d’aereo, nell’agosto 1915 effettuò un volo sopra Trieste insieme al suo comandante e carissimo amico Giuseppe Garrassini Garbarino, lanciando manifesti propagandistici; nel settembre 1915 partecipò a un’incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell’Isonzo.
Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d’emergenza, nell’urto contro la mitragliatrice dell’aereo riportò una lesione all’altezza della tempia e dell’arcata sopracciliare destra, la ferita, non curata per un mese, provocò la perdita dell’occhio che tenne coperto da una benda; anche da questo episodio trasse ispirazione per autodefinirsi e autografarsi come l’Orbo veggente.
Dopo l’incidente passò un periodo di convalescenza a Venezia, durante il quale, assistito dalla figlia Renata, compose il Notturno, l’opera interamente dedicata a ricordi e riflessioni legati all’esperienza di guerra, fu pubblicata poi nel 1921.
Dopo la degenza, contro i consigli dei medici, tornò al fronte: nel settembre 1916 partecipò a un’incursione su Parenzo e, nell’anno successivo, con la III Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell’Isonzo.
Il colonnello francese De Gondrecourt, incaricato dal Governo francese, insignì il 12 gennaio 1917 il capitano d’Annunzio della Croix de guerre, la decorazione era arrivata insieme ad una lettera del generale Louis Hubert Gonzalve Lyautey del 7 gennaio.
Nell’agosto del 1917 compì, con i piloti Maurizio Pagliano e Luigi Gori e il loro Caproni Ca.33, decorato con l’Asso di Picche, tre raid notturni su Pola, il 3, 5 e 8 agosto e alla fine del mese effettuò col medesimo equipaggio attacchi a volo radente sulla dorsale dell’Hermada, riportando una ferita al polso e rientrando con il velivolo forato da 134 colpi.
A settembre parve realizzarsi la possibilità di effettuare l’agognato raid su Vienna di cui abbiamo parlato già nell’episodio di Natale Palli, a tal fine, con Pagliano e Gori compì un volo dimostrativo di 1 000 km in 9 ore di volo, ma all’ultimo istante il consenso al raid venne negato.
Alla fine di settembre si trasferì a Gioia del Colle, inquadrato sempre con Pagliano e Gori sui Caproni Ca.33 e al comando della 1ª Squadriglia bis, per compiere una missione sulle installazioni navali del golfo di Cattaro.
L’impresa venne portata a termine con successo, sempre con Pagliano e Gori la notte del 4 ottobre, volando per oltre 500 km sul mare, senza riferimenti, orientandosi con la bussola e le stelle.
Alla fine di ottobre, durante la battaglia di Caporetto, incitò i soldati, pronunciando discorsi appassionati e nel febbraio del 1918 si imbarcò sul MAS 96 della Regia Marina, partecipò al raid navale, denominato la beffa di Buccari, argomento anch’esso già trattato nell’episodio di Luigi Rizzo, l’azione fu dedicata alla memoria dei suoi compagni di volo Pagliano e Gori, caduti, nel frattempo, il 30 dicembre 1917.
Il poeta cercò di impegnare truppe italiane per un’operazione puramente dimostrativa volendo posizionare un enorme tricolore sul castello di Duino, situato oltre il fronte, in direzione di Trieste, quando gli austriaci, accortisi dell’incursione, aprirono il fuoco uccidendo diversi soldati italiani, D’Annunzio forzò i fanti rimasti ad avanzare comunque, ordinando agli artiglieri di sparare su chi si fosse arreso e additando i superstiti che fuggivano come codardi.
L’11 marzo 1918, con il grado di maggiore, assunse il comando della 1ª Squadriglia navale S.A. del campo volo di San Nicolò del Lido di Venezia, primo esperimento di siluranti aeree, chiamata Squadra aerea San Marco, e ne coniò il motto: Sufficit Animus (“È sufficiente [anche solo] il coraggio”).
Tale squadriglia era mista, in quanto formata da aeroplani da ricognizione-bombardamento SIA 9B, quattro velivoli nel 1º semestre 1918 e sette velivoli nel 2º semestre 1918, e da ricognizione/caccia formata da 10 velivoli Ansaldo S.V.A..
Nell’agosto del 1918, alla guida della 87ª Squadriglia aeroplani “Serenissima”, equipaggiata con i nuovi velivoli SVA 5, realizzò il suo sogno: il Volo su Vienna, preso posto su uno SVA modificato, pilotato dal capitano Natale Palli, il 9 agosto raggiunse con una formazione di sette aeroplani la capitale asburgica, compiendo un volo di oltre 1 000 km, quasi tutti sorvolando il territorio in mano al nemico.
L’azione, dal carattere esclusivamente psicologico e propagandistico, fu caratterizzata dal lancio di migliaia di manifestini nei cieli di Vienna, con scritte che inneggiavano alla pace e alla fine delle ostilità.
L’eco e la risonanza di tale azione furono enormi e perfino il nemico dovette ammetterne il valore, fino al termine del conflitto, D’Annunzio si prodigò in innumerevoli voli di bombardamento sui territori occupati dall’esercito austriaco, fino alla battaglia finale, ai primi di novembre 1918.
Al termine del conflitto apparteneva di diritto alla generazione degli assi e dei pluridecorati e il coraggio dimostrato, unitamente ad alcune celebri imprese di cui era stato protagonista, ne consolidarono ulteriormente la popolarità.
Si congedò con il grado di tenente colonnello, inusuale, all’epoca, per un ufficiale di complemento, ebbe di fatti tre promozioni per merito di guerra; gli verrà anche concesso nel 1925 il titolo onorario di generale di brigata aerea.
Fu insignito di una medaglia d’oro al valor militare, cinque d’argento e una di bronzo e nell’immediato dopoguerra D’Annunzio si fece portatore di un vasto malcontento, insistendo sul mito della “vittoria mutilata” e chiedendo, in sintonia con il movimento dei combattenti, il rinnovamento della classe dirigente in Italia, lo stesso clima di malcontento portò all’ascesa di Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe condotto il fascismo a prendere il potere in Italia.
Durante il conflitto D’Annunzio conobbe il poeta giapponese Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi dell’esercito italiano, dall’incontro dei due poeti-soldati nacque l’idea, promossa a partire dal marzo 1919, del raid aereo Roma-Tokyo, ovviamente pacifico, a cui il Vate voleva inizialmente partecipare, ma che fu portato a termine dall’aviatore Arturo Ferrarin.
Ma questa, è un’altra storia.

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