Gabriele d’Annunzio – Il Vate

S:2 – Ep.47

Mi risulta veramente difficile, come mai da quando faccio questo podcast, iniziare con la frase tormentone che la contraddistingue ma vorrei che la interpretaste come un omaggio alla sua persona, e quindi dirò che: Gabriele D’Annunzio è una persona qualunque.

Nacque a Pescara Vecchia il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese benestante, terzo di cinque figli, visse un’infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità, dalla madre, Luisa de Benedictis ereditò la fine sensibilità; il temperamento lo acquisì dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta-D’Annunzio.

Gli anni 1881-1891 furono decisivi per la formazione di D’Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma da poco divenuta capitale del Regno, cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica.

Tra il 1891 e il 1893 D’Annunzio visse a Napoli e nel 1897 volle provare l’esperienza politica, vivendo anch’essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della Destra storica, nel 1900 passò nelle file dell’Estrema sinistra storica, espresse anche vivaci proteste per la sanguinosa repressione dei moti di Milano da parte del generale Fiorenzo Bava Beccaris, dal 1900 al 1906 fu molto vicino al Partito Socialista Italiano.

Se ci seguite da tempo sapete bene che il nostro podcast, quando parla di personaggi altisonanti come D’Annunzio, lascia a voi la libera espressione di informarsi su ciò che ha fatto come scrittore, poeta, drammaturgo, politico, giornalista e simbolo del decadentismo, noi ci occuperemo di lui come quello che fu, anche, come celebre figura della prima guerra mondiale.

Soprannominato il Vate allo stesso modo di Giosuè Carducci, cioè “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina, o anche “l’Immaginifico”, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.

Il giovane D’Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà, nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera da giovane studente, una raccolta di poesie che ebbe presto successo.

Accompagnato da un’entusiastica recensione critica sulla rivista romana Fanfulla della domenica, il libro venne pubblicizzato dallo stesso D’Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo, lo stesso D’Annunzio poi smentì la falsa notizia e dopo aver concluso gli studi liceali giunse a Roma e si iscrisse alla Facoltà di Lettere, dove non terminò mai gli studi.

Nel 1915 ritornò in Italia da Arcachon, sulla costa atlantica, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente un’intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e del Risorgimento e richiamando la figura di Giuseppe Garibaldi.

Con lo scoppio del conflitto con l’Austria-Ungheria, D’Annunzio, nonostante avesse 52 anni, età di un certo peso agli inizi del 1900 dove le aspettative di vita erano nettamente inferiori a quelle odierne, ottenne di arruolarsi come volontario di guerra nei Lancieri di Novara, partecipando subito ad alcune azioni dimostrative navali e aeree.

Per un periodo risiedette in località vicine al Comando della III Armata nel Friuli, a capo della quale era il suo estimatore Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta e svolse ciò che sapeva fare meglio, la sua attività in guerra fu prevalentemente propagandistica, fondata su continui spostamenti da un corpo all’altro come ufficiale di collegamento e osservatore.

Ottenuto il brevetto di Osservatore d’aereo, nell’agosto 1915 effettuò un volo sopra Trieste insieme al suo comandante e carissimo amico Giuseppe Garrassini Garbarino, lanciando manifesti propagandistici; nel settembre 1915 partecipò a un’incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell’Isonzo.

Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d’emergenza, nell’urto contro la mitragliatrice dell’aereo riportò una lesione all’altezza della tempia e dell’arcata sopracciliare destra, la ferita, non curata per un mese, provocò la perdita dell’occhio che tenne coperto da una benda; anche da questo episodio trasse ispirazione per autodefinirsi e autografarsi come l’Orbo veggente.

Dopo l’incidente passò un periodo di convalescenza a Venezia, durante il quale, assistito dalla figlia Renata, compose il Notturno, l’opera interamente dedicata a ricordi e riflessioni legati all’esperienza di guerra, fu pubblicata poi nel 1921.

Dopo la degenza, contro i consigli dei medici, tornò al fronte: nel settembre 1916 partecipò a un’incursione su Parenzo e, nell’anno successivo, con la III Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell’Isonzo.

Il colonnello francese De Gondrecourt, incaricato dal Governo francese, insignì il 12 gennaio 1917 il capitano d’Annunzio della Croix de guerre, la decorazione era arrivata insieme ad una lettera del generale Louis Hubert Gonzalve Lyautey del 7 gennaio.

Nell’agosto del 1917 compì, con i piloti Maurizio Pagliano e Luigi Gori e il loro Caproni Ca.33, decorato con l’Asso di Picche, tre raid notturni su Pola, il 3, 5 e 8 agosto e alla fine del mese effettuò col medesimo equipaggio attacchi a volo radente sulla dorsale dell’Hermada, riportando una ferita al polso e rientrando con il velivolo forato da 134 colpi.

A settembre parve realizzarsi la possibilità di effettuare l’agognato raid su Vienna di cui abbiamo parlato già nell’episodio di Natale Palli, a tal fine, con Pagliano e Gori compì un volo dimostrativo di 1 000 km in 9 ore di volo, ma all’ultimo istante il consenso al raid venne negato.

Alla fine di settembre si trasferì a Gioia del Colle, inquadrato sempre con Pagliano e Gori sui Caproni Ca.33 e al comando della 1ª Squadriglia bis, per compiere una missione sulle installazioni navali del golfo di Cattaro.

L’impresa venne portata a termine con successo, sempre con Pagliano e Gori la notte del 4 ottobre, volando per oltre 500 km sul mare, senza riferimenti, orientandosi con la bussola e le stelle.

Alla fine di ottobre, durante la battaglia di Caporetto, incitò i soldati, pronunciando discorsi appassionati e nel febbraio del 1918 si imbarcò sul MAS 96 della Regia Marina, partecipò al raid navale, denominato la beffa di Buccari, argomento anch’esso già trattato nell’episodio di Luigi Rizzo, l’azione fu dedicata alla memoria dei suoi compagni di volo Pagliano e Gori, caduti, nel frattempo, il 30 dicembre 1917.

Il poeta cercò di impegnare truppe italiane per un’operazione puramente dimostrativa volendo posizionare un enorme tricolore sul castello di Duino, situato oltre il fronte, in direzione di Trieste, quando gli austriaci, accortisi dell’incursione, aprirono il fuoco uccidendo diversi soldati italiani, D’Annunzio forzò i fanti rimasti ad avanzare comunque, ordinando agli artiglieri di sparare su chi si fosse arreso e additando i superstiti che fuggivano come codardi.

L’11 marzo 1918, con il grado di maggiore, assunse il comando della 1ª Squadriglia navale S.A. del campo volo di San Nicolò del Lido di Venezia, primo esperimento di siluranti aeree, chiamata Squadra aerea San Marco, e ne coniò il motto: Sufficit Animus (“È sufficiente [anche solo] il coraggio”).

Tale squadriglia era mista, in quanto formata da aeroplani da ricognizione-bombardamento SIA 9B, quattro velivoli nel 1º semestre 1918 e sette velivoli nel 2º semestre 1918, e da ricognizione/caccia formata da 10 velivoli Ansaldo S.V.A..

Nell’agosto del 1918, alla guida della 87ª Squadriglia aeroplani “Serenissima”, equipaggiata con i nuovi velivoli SVA 5, realizzò il suo sogno: il Volo su Vienna, preso posto su uno SVA modificato, pilotato dal capitano Natale Palli, il 9 agosto raggiunse con una formazione di sette aeroplani la capitale asburgica, compiendo un volo di oltre 1 000 km, quasi tutti sorvolando il territorio in mano al nemico.

L’azione, dal carattere esclusivamente psicologico e propagandistico, fu caratterizzata dal lancio di migliaia di manifestini nei cieli di Vienna, con scritte che inneggiavano alla pace e alla fine delle ostilità.

L’eco e la risonanza di tale azione furono enormi e perfino il nemico dovette ammetterne il valore, fino al termine del conflitto, D’Annunzio si prodigò in innumerevoli voli di bombardamento sui territori occupati dall’esercito austriaco, fino alla battaglia finale, ai primi di novembre 1918.

Al termine del conflitto apparteneva di diritto alla generazione degli assi e dei pluridecorati e il coraggio dimostrato, unitamente ad alcune celebri imprese di cui era stato protagonista, ne consolidarono ulteriormente la popolarità.

Si congedò con il grado di tenente colonnello, inusuale, all’epoca, per un ufficiale di complemento, ebbe di fatti tre promozioni per merito di guerra; gli verrà anche concesso nel 1925 il titolo onorario di generale di brigata aerea.

Fu insignito di una medaglia d’oro al valor militare, cinque d’argento e una di bronzo e nell’immediato dopoguerra D’Annunzio si fece portatore di un vasto malcontento, insistendo sul mito della “vittoria mutilata” e chiedendo, in sintonia con il movimento dei combattenti, il rinnovamento della classe dirigente in Italia, lo stesso clima di malcontento portò all’ascesa di Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe condotto il fascismo a prendere il potere in Italia.

Durante il conflitto D’Annunzio conobbe il poeta giapponese Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi dell’esercito italiano, dall’incontro dei due poeti-soldati nacque l’idea, promossa a partire dal marzo 1919, del raid aereo Roma-Tokyo, ovviamente pacifico, a cui il Vate voleva inizialmente partecipare, ma che fu portato a termine dall’aviatore Arturo Ferrarin.

Ma questa, è un’altra storia.

https://open.spotify.com/episode/6cbbbx2w8YlTZkSYJZsklC

Podcast audio e video gratuito di 100 episodi su Youtube.

100 episodi del Podcast gratuito anche su Spotify.

Natale Palli – Il volo su Vienna

S:2 – Ep.40

Natale Palli è una persona qualunque.

Discendente della famiglia ticinese dei Palli del paese di Pura, al confine con l’Italia sul lago di Lugano, nacque a Casale Monferrato il 24 luglio 1895 e compì gli studi primari e secondari presso le scuole della città natale, iniziando poi a frequentare il corso di Ingegneria presso il Politecnico di Milano.

Arruolatosi giovanissimo nel Regio Esercito, volontario in un reggimento di fanteria di stanza nella città lombarda nel corso del 1914, con ferma annuale, l’entrata in guerra del Regno d’Italia, avvenuta il 24 maggio 1915, lo trovò con il grado di sergente.

Nel mese di luglio fu promosso al grado di sottotenente di complemento, ma, rimasto affascinato dal mondo dell’aviazione, chiese, ed ottenne, di essere assegnato al Corpo Aeronautico Militare, conseguendo il brevetto di pilota militare il 15 ottobre 1915 sul campo d’aviazione di Cameri a Novara.

Il 27 ottobre venne inviato in zona d’operazioni, assegnato alla 2ª Squadriglia di aviazione per l’artiglieria di base a Pordenone, e nel marzo 1916 fu trasferito alla 5ª Squadriglia per l’artiglieria operante nel settore che andava da Plava a Tolmino, eseguendo missioni di ricognizione anche su Trieste.

Nel settembre successivo fu trasferito alla 48ª Squadriglia di base a Belluno e nel mese di novembre fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare dal generale Mario Nicolis di Robilant, comandante della 4ª Armata.

Il 24 aprile 1917 fu decorato con una prima medaglia d’argento al valor militare per una rischiosa missione di ricognizione sul Tirolo e nell’agosto dello stesso anno venne mandato sul campo d’aviazione della Malpensa, dove conseguì l’abilitazione al pilotaggio del nuovo velivolo Ansaldo S.V.A., per essere quindi assegnato alla fine di ottobre alla 1ª Sezione SVA, aggregata alla 75ª Squadriglia Caccia destinata alla difesa di Verona.

Nel novembre successivo entrò in servizio presso la 75ª Squadriglia da caccia di stanza a Castenedolo; in dicembre fu trasferito alla 72ª Squadriglia Caccia e nel gennaio 1918 alla 71ª Squadriglia Caccia di Sovizzo.

Promosso capitano il 3 febbraio 1918, tre giorni dopo venne decorato con la Croix de guerre dal re del Belgio Alberto I, ma non finisce qui, per una ricognizione su Innsbruck, effettuata il 20 febbraio fu decorato con una seconda medaglia d’argento e, verso la fine del mese successivo, venne mandato presso la 103ª Squadriglia di stanza sul campo d’aviazione di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, per effettuare alcune missioni sul basso Adriatico che gli valsero la concessione della terza medaglia d’argento al valor militare.

Passato in forza alla 87ª Squadriglia “Serenissima” di stanza all’aeroporto di San Pelagio, prese parte al volo su Vienna insieme al maggiore Gabriele D’Annunzio e per questo fatto venne insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia.

Il volo era in progettazione da tempo da parte del Comando supremo militare italiano, su indicazione di Ugo Ojetti, giornalista e scrittore nonché comandante della sezione propaganda del Comando supremo.

D’Annunzio aveva proposto in passato un’operazione simile, ma le sue idee non erano state approvate; saputo però dell’iniziativa, cercò di prendervi parte anche se come semplice passeggero, in quanto era sprovvisto del brevetto di volo.

Inizialmente approvata, la sua partecipazione divenne in forse a causa della perdita del SVA9 da addestramento biposto, ma un secondo velivolo fu approntato in tempo da Giuseppe Brezzi, modificando il serbatoio del carburante a forma di sedile, ribattezzato macabramente “la seggiola incendiaria”.

Lo SVA modificato, pilotato dal capitano Natale Palli, poteva così prendere parte al “folle volo”, giunse così l’autorizzazione necessaria all’impresa.

Un primo tentativo venne compiuto il 2 agosto, ma a causa della nebbia incontrata sulle Alpi e in Pianura Padana i tredici apparecchi che vi parteciparono dovettero rinunciare; sette velivoli riuscirono a ritornare alla base, mentre altri furono costretti ad atterrare in campi diversi e tre aerei risultarono perfino inutilizzabili.

Un secondo tentativo si ebbe l’8 agosto, ma il vento contrario mandò a monte l’impresa anche questa volta e dopo questi due fallimenti, il progetto dannunziano rischiò seriamente di esser rimandato in un futuro indeterminato e in ogni caso molto lontano; D’Annunzio, tuttavia riuscì a ottenere che il volo si effettuasse il giorno successivo, anche per sfruttare al massimo l’«effetto sorpresa», già parzialmente compromesso avendo il tenente Censi gettato un ingente carico di volantini in territorio austriaco per alleggerire il velivolo.

Finalmente, alle 5:30 del 9 agosto dal Campo di Aviazione di San Pelagio nel comune di Due Carrare (PD), partirono gli undici apparecchi, dieci SVA monoposto e uno SVA modificato a due posti, guidato dal capitano Palli, nel quale si trovava D’Annunzio.

Pochi minuti dopo la partenza, il capitano Alberto Masprone fu costretto da un’avaria a un atterraggio di fortuna, nel quale il velivolo fu danneggiato e Masprone si ruppe la mandibola.

Il tenente Vincenzo Contratti e il sottotenente Francesco Ferrarin dovettero a loro volta riportare indietro gli aerei a causa di un irregolare funzionamento del motore e il tenente Giuseppe Sarti, infine, fu costretto ad atterrare per un arresto del motore, posandosi sul campo di Wiener Neustadt e incendiando il velivolo prima di essere preso prigioniero da ufficiali austriaci.

Gli otto aerei superstiti proseguirono il proprio volo verso la capitale austriaca, organizzati a cuneo e guidati dai seguenti piloti: il capitano Natale Palli e Gabriele D’Annunzio; il tenente Ludovico Censi; il tenente Aldo Finzi; il tenente Giordano Bruno Granzarolo; il tenente Antonio Locatelli; il tenente Pietro Massoni; il sottotenente Girolamo Allegri detto «Fra’ Ginepro» per la folta barba.

Dopo aver sorvolato la valle della Drava, i monti della Carinzia e infine le città di Reichenfels, Kapfenberg e Neuberg senza incontrare nessun ostacolo da parte dell’aviazione austriaca, solo due caccia austriaci che avevano avvistato la formazione e che si affrettarono ad atterrare per avvertire il comando, ma non furono creduti, e dopo aver superato formazioni temporalesche, la squadra italiana giunse su Vienna in gruppo compatto alle 9:20, mentre nelle strade e piazze sottostanti si stava verificando un grande concorso di folla, impaurita della presenza degli aeromobili e dall’eventualità di un bombardamento aereo.

Grazie alla limpidezza del cielo, lo stormo poté abbassarsi a una quota inferiore agli 800 metri e lanciare i manifesti, anche se quelli di D’Annunzio furono preparati solo in 50 000 copie e solo in italiano a causa del tono pomposo giudicato inefficace.

Il testo di D’Annunzio venne giudicato mancante di efficacia, nonché impossibile da rendere correttamente in tedesco, da Ferdinando Martini, per questo, contrariamente a quanto a volte si crede, il principale manifesto lanciato in 350 000 copie non fu quindi quello di D’Annunzio bensì quello redatto da Ugo Ojetti, che fu tradotto in tedesco per essere compreso dalla popolazione di Vienna:

VIENNESI! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni.
VIENNESI! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola.
POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! VIVA LA LIBERTÀ! VIVA L’ITALIA! VIVA L’INTESA!

Dopo aver sganciato i manifestini lo stormo prese la via del ritorno, scegliendo un percorso diverso da quello intrapreso all’andata per scongiurare il verificarsi di attacchi della contraerea e dopo aver valicato le Alpi, la formazione aerea sorvolò Lubiana, Trieste e Venezia, dove D’Annunzio scelse di far cadere un messaggio augurale per comunicare all’ammiraglio e al sindaco il felice esito dell’impresa; alle 12:40, infine, gli aerei rientrarono al campo di San Pelagio dopo aver percorso in sette ore e dieci minuti mille chilometri, di cui ottocento su territorio austriaco, a sfida di ogni avversità balistica e aerea.

Il volo su Vienna, pur essendo stato militarmente inoffensivo, ebbe una vastissima eco morale, psicologica e propagandistica sia in Italia sia all’estero, e compromise sensibilmente l’opinione pubblica dell’Impero asburgico.

La stessa stampa austriaca accolse favorevolmente l’«incursione inerme», così fu definita, degli aerei italiani a Vienna: analogamente, il Frankfurter Zeitung condusse una critica aspra e virulenta «non contro gl’Italiani, ma contro le autorità, a cui i Viennesi devono gratitudine per la visita degli aviatori.

Non occorre dire quale catastrofe poteva accadere se, invece di proclami, avessero gettato bombe e ancora oggi non si comprende come abbiano varcato centinaia di chilometri senza essere avvistati dalle stazioni di osservazione austriache».

Natale Palli fu poi trasferito per qualche tempo sul fronte francese sempre insieme con D’Annunzio, compì insieme al Vate un’ardita ricognizione su Lienz.

A cannoni fermi, il 20 marzo del 1919 dopo il termine della prima guerra mondiale, durante il raid Padova-Parigi-Roma, tentato insieme all’amico Francesco Ferrarin, altro componente che tentò il “folle volo” dannunziano, per un guasto al velivolo fu costretto ad atterrare sul Mont Pourri, nei pressi di Sainte-Foy, dove morì assiderato.

La sua salma fu trasportata a Casale Monferrato dove, il 27 marzo 1919, gli furono tributate solenni onoranze funebri alla presenza di un’immensa folla, di Gabriele D’Annunzio e dei piloti della “Serenissima”, con la sola eccezione di Antonio Locatelli che si trovava in Argentina.

Ma questa, è un’altra storia.

Podcast audio e video gratuito di 100 episodi su Youtube.

100 episodi del Podcast gratuito anche su Spotify.

Gabriele D’Annunzio

Se stesso.

Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio.

Per quei pochi che non si ricordassero chi fosse stato, fu uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, dal 1924 insignito dal Re Vittorio Emanuele III del titolo di Principe di Montenevoso.

Soprannominato il Vate (allo stesso modo di Giosuè Carducci), cioè “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina, o anche “l’Immaginifico”, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.

La sua attività in guerra fu prevalentemente propagandistica, fondata su continui spostamenti da un corpo all’altro come ufficiale di collegamento e osservatore.

Ottenuto il brevetto di Osservatore d’aereo, nell’agosto 1915 effettuò un volo sopra Trieste insieme al suo comandante e carissimo amico Giuseppe Garrassini Garbarino, lanciando manifesti propagandistici; nel settembre 1915 partecipò a un’incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell’Isonzo.

Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d’emergenza, nell’urto contro la mitragliatrice dell’aereo riportò una lesione all’altezza della tempia e dell’arcata sopracciliare destra.

La ferita, non curata per un mese, provocò la perdita dell’occhio che tenne coperto da una benda; anche da questo episodio trasse ispirazione per autodefinirsi e autografarsi come l’Orbo veggente.

Dopo la degenza, contro i consigli dei medici, tornò al fronte: nel settembre 1916 partecipò a un’incursione su Parenzo e, nell’anno successivo, con la III Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell’Isonzo.

Nell’agosto del 1917 compì, con i piloti Maurizio Pagliano e Luigi Gori e il loro Caproni Ca.33, decorato con l’Asso di Picche, tre raid notturni su Pola (3, 5 e 8 agosto).

Alla fine del mese effettuò col medesimo equipaggio attacchi a volo radente sulla dorsale dell’Hermada, riportando una ferita al polso e rientrando con il velivolo forato da 134 colpi.

A settembre parve realizzarsi la possibilità di effettuare l’agognato raid su Vienna.

Alla fine di settembre si trasferì a Gioia del Colle (BA), inquadrato sempre con Pagliano e Gori al comando della 1ª Squadriglia bis, per compiere una missione sulle installazioni navali del golfo di Cattaro.

Nel febbraio del 1918, imbarcato sui MAS 96 della Regia Marina, partecipò al raid navale, denominato la beffa di Buccari, azione dedicata alla memoria dei suoi compagni di volo Pagliano e Gori, caduti il 30 dicembre.

L’11 marzo 1918, con il grado di maggiore, assunse il comando della 1ª Squadriglia navale S.A. del campo volo di San Nicolò del Lido di Venezia, primo esperimento di siluranti aeree, chiamata Squadra aerea San Marco, e ne coniò il motto: Sufficit Animus (“È sufficiente [anche solo] il coraggio”).

Nell’agosto del 1918, alla guida della 87ª Squadriglia aeroplani “Serenissima”, equipaggiata con i nuovi velivoli SVA 5, realizzò il suo sogno: il Volo su Vienna.

Fino al termine del conflitto, D’Annunzio si prodigò in innumerevoli voli di bombardamento sui territori occupati dall’esercito austriaco, fino alla battaglia finale, ai primi di novembre 1918.

fonte: wikipedia

ombre4