S:2-Ep:50
Armando Diaz è una persona qualunque.

Di lontane origini spagnole da parte di padre, nacque a Napoli il 5 dicembre 1861 e fu avviato giovanissimo alla carriera militare come allievo della Scuola Militare Nunziatella e in seguito come allievo dell’Accademia militare d’artiglieria di Torino, dove divenne ufficiale.
Prese servizio nel 1884 al 10º Reggimento di artiglieria da campo, e dal 1890 al 1º Reggimento di artiglieria da campo col grado di capitano, nel 1894 frequentò la Scuola di guerra classificandosi primo e dal 1895 al 1896 servì nello Stato Maggiore, nella segreteria del generale Alberto Pollio, nel 1899 fu promosso maggiore, comandando per 18 mesi un battaglione del 26º Reggimento fanteria.
Tenente colonnello nel 1905, passò dopo alcuni anni alla Divisione di Firenze come capo di Stato Maggiore e nel 1910, durante la guerra italo-turca, comandò il 21º fanteria, poi l’anno dopo il 93º Reggimento fanteria in Libia che era rimasto improvvisamente senza comando e sempre in Libia, a Zanzur, fu ferito nel 1912.
Nel 1915, alla dichiarazione di intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, Luigi Cadorna lo nominò generale di brigata, con incarico al Corpo di Stato Maggiore come addetto al comando supremo del reparto operazioni, ma nel giugno del 1916 chiese di essere destinato a un reparto combattente.
Promosso generale di divisione, gli fu affidato il comando della 49ª Divisione nella 3ª Armata, e nell’aprile del 1917 assunse la carica superiore al XXIII Corpo d’armata, questo breve periodo prima di Caporetto gli valse la medaglia d’argento al valor militare per una ferita riportata alla spalla.
Poi, ci fu la disfatta di Caporetto che abbiamo trattato nel nostro precedente episodio del podcast che lo portò, la sera dell’8 novembre 1917, ad essere chiamato con Regio Decreto a sostituire Luigi Cadorna nella carica di capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano, egli disse in proposito: «L’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: la rifaremo».
Recuperato quello che rimaneva dell’esercito italiano dopo la disfatta, organizzò la resistenza sul fiume Piave e sul monte Grappa, da dove si ricollegava poi al vecchio fronte sull’altopiano di Asiago e nel Trentino meridionale.
Diaz poteva schierare solo 33 divisioni intatte e pronte al combattimento, circa metà di quelle disponibili prima di Caporetto, per rimpinguare i ranghi si ricorse alla mobilitazione dei diciottenni della classe 1899, i cosiddetti “Ragazzi del ’99”, e per il febbraio 1918 altre 25 divisioni erano state ricostituite.
Entro l’8 dicembre 1917 sei divisioni francesi e cinque britanniche con artiglieria e unità di supporto, in tutto circa 130.000 francesi e 110.000 britannici, erano affluite in Italia e, sebbene non entrate subito in azione, funsero da riserva strategica permettendo al Regio Esercito di concentrare le proprie truppe in prima linea.
Al momento della sua nomina a capo dell’esercito Diaz aveva 11 anni in meno di Cadorna e un’esperienza diretta della guerra di trincea del Carso, cosa che mancava al predecessore, e non è sorprendente quindi che avesse un’idea molto più realistica e moderna della condotta della guerra.
Memore dell’esperienza nello Stato Maggiore di Cadorna, decentrò molte funzioni ai sottoposti, riservandosi un ruolo di controllo ed appoggiandosi ai due sotto-capo di Stato Maggiore che lo affiancavano, i generali Gaetano Giardino ma, soprattutto, Pietro Badoglio.
Fu potenziato il servizio informativo dell’esercito retto dal colonnello Odoardo Marchetti, che divenne un elemento decisivo nella pianificazione delle operazioni, mentre l’Ufficio Operazioni, retto dal colonnello Ugo Cavallero, assicurò poi il controllo effettivo di quanto accadeva al fronte, grazie anche a una rete di ufficiali di collegamento, come non succedeva sotto Cadorna.
Diaz si occupò personalmente dei rapporti, cercando sempre di mantenerli buoni, con il re ed il governo Orlando riconoscendo la necessità di una stretta collaborazione fra le forze politiche e l’esercito, pur continuando, come il predecessore, a non accettare nessuna ingerenza esterna nella sua sfera di responsabilità e comando.
Diaz e Badoglio cercarono, con discreti risultati, di migliorare l’addestramento della fanteria italiana e di svilupparne l’armamento, distribuendo ai singoli reparti mitragliatrici Fiat-Revelli Mod. 1914, pistole mitragliatrici Villar Perosa, mortai Stokes, lanciafiamme, cannoncini da 37 mm e bombe a mano.
Sotto Diaz furono sperimentati i primi moschetti automatici, furono distribuite 3 milioni delle migliori maschere antigas di fabbricazione inglese, fu avviata la progettazione dei primi carri armati Fiat 3000 su modello del francese Renault FT e fu potenziata l’aviazione fino a conseguire il dominio dei cieli, si procedette anche ad una riorganizzazione ed un potenziamento del corpo degli Arditi.
Sopra ogni cosa Diaz dedicò molta cura a migliorare il trattamento dei soldati onde guarire i guasti del morale dei reparti: la giustizia militare rimase severa ma furono abbandonate le pratiche più rigide, prima tra tutte la decimazione; vi furono miglioramenti nel vitto e nell’allestimento delle postazioni, furono introdotti turni più brevi da passare in prima linea, fu migliorata la paga e le licenze furono aumentate per frequenza e durata.
Fu poi disposto in termini tassativi che i feriti e i malati dimessi dagli ospedali militari dovessero rientrare ai reparti d’origine, anziché essere destinati dove capitava, aumentando così l’affiatamento tra i soldati.
Alle unità che scendevano dal fronte furono assicurati un riposo effettivo, alloggiamenti confortevoli e possibilità di svago con lo sviluppo di centri ricreativi detti “case del soldato”, spacci cooperativi, organizzazione di spettacoli, manifestazioni sportive e case chiuse.
Fra le risorse messe in campo per reagire alla disfatta e riarmare lo spirito di resistenza dei soldati, si fece ricorso a un certo numero di intellettuali e artisti scelti fra i soldati competenti in quelle aree, che furono impegnati nella redazione dei giornali di trincea per curare il morale, intrattenere le armate impegnate nella difesa del Piave e i soldati nelle retrovie.
Proprio nel periodo tra Caporetto e Vittorio Veneto, l’utilizzo di disegnatori, illustratori e pittori si fece più che mai importante: questi furono incaricati di creare vignette per i giornali delle armate, manifesti propagandistici, cartoline e in generale per rendere più efficace e comunicativo l’immaginario della guerra e delle vicende al fronte.
Queste “truppe scelte” dell’intellettualità militare trovarono identità e voce nel servizio P (Propaganda), diretto ad attuare una capillare campagna di promozione dello spirito patriottico, utilizzando la psicologia, la pedagogia e soprattutto la retorica.
Parallelamente il servizio P pianificò e migliorò la censura, soprattutto per quanto riguardava i giornali, in questo caso si diede maggior impegno nel rendere le notizie più semplici e di carattere ideologizzante, eliminando dai giornali destinati alle truppe i rapporti con i paesi alleati, gli avvenimenti in Russia, i quattordici punti di Wilson e soprattutto la pace.
Allo stesso tempo veniva elogiata la guerra dell’Italia, le notizie avevano un carattere educativo e politico, dirette in particolare al soldato, che in questo modo manteneva un contatto col paese: si otteneva così una propaganda senza l’utilizzo di rime o manifesti altisonanti, ma col naturale commento delle notizie.
Fondamentale era perciò la collaborazione nella stesura dei giornali dei soldati stessi, a volte redatti da piccolissimi reparti, dove il fante aveva l’opportunità di leggere e immedesimarsi nelle vignette divertenti, fatte spesso da uomini che conosceva, che celebravano il suo reparto e rappresentavano la vita in trincea con umorismo.
Nell’autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l’offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 58 divisioni: 51 italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca e 1 reggimento statunitense contro 73 austriache.
Il piano non prevedeva attacchi frontali, cosa usuale per il suo predecessore, ma un colpo concentrato su un unico punto: Vittorio Veneto, per spezzare il fronte nemico e iniziando una manovra diversiva, Diaz attirò tutti i rinforzi austriaci lungo il Piave, che il nemico credeva essere il punto dell’attacco principale, costringendoli all’inazione per la piena del fiume.
Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all’attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l’avanzata, il fronte dell’esercito austro-ungarico si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile.
Il 30 ottobre l’esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre, il giorno dopo l’Austria-Ungheria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell’esercito nemico ed il successo italiano.
Nel 1921, due anni e mezzo dopo la fine della Grande Guerra, Diaz fu il primo italiano ad essere onorato da una ticker-tape parade dalla città di New York, in occasione del suo viaggio negli USA e, con Regio Decreto motu proprio del 24 dicembre 1921 e Regie Lettere Patenti dell’11 febbraio 1923, venne insignito del titolo di Duca della Vittoria.
Andando contro il parere di Pietro Badoglio, Diaz sconsigliò, nel 1922, una soluzione militare della crisi innescata dalla marcia su Roma e dopo essere entrato nel primo governo Mussolini, su precisa condizione del re Vittorio Emanuele III che intendeva in questo modo porre nel governo una figura di prestigio e lealmente monarchica, assunse l’incarico di Ministro della Guerra, varando la riforma delle forze armate e accettando la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale sottoposta al potere personale di Mussolini.
Terminata l’esperienza governativa il 30 aprile 1924, si ritirò a vita privata e nello stesso anno, venne premiato, insieme al generale Cadorna, del grado di Maresciallo d’Italia, istituito espressamente da Mussolini per onorare i comandanti dell’esercito nella prima guerra mondiale.
Morì a Roma il 29 febbraio del 1928 e fu sepolto nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove riposa vicino all’ammiraglio Paolo Thaon di Revel e a Vittorio Emanuele Orlando. Al suo funerale parteciparono Mussolini e il re Vittorio Emanuele III.
Ma questa, è un’altra storia.

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