S:3-Ep:51
Joseph Innerkofler è una persona qualunque.

Joseph, detto “Sepp”, era nato nel Maso Unteradamer a Sesto, nell’allora Tirolo facente parte dell’Impero austro-ungarico, il giovane Sepp era il quarto figlio di Christian, contadino e scalpellino, con cui trascorse i primi anni di vita prima di trasferirsi nell’Alta Pusteria presso altri contadini.
Amante della montagna e della sua valle natia, dopo alcuni anni di lavoro in una segheria durante i quali dedicò il tempo libero alla caccia e all’arrampicata, nel 1889 ottenne il brevetto di guida alpina dal Deutscher und Österreichischer Alpenverein decidendo quindi di impiegare la sua vita in questa attività.
Le sue ottime capacità alpinistiche e la sua intraprendenza lo resero in breve tempo un personaggio famoso e ricercato dai facoltosi di tutta Europa che volevano essere accompagnati sulle montagne dolomitiche, e con questa attività iniziò a guadagnare anche discrete somme di denaro.
Poco dopo sposò Maria Stadler, da cui ebbe sette figli, e in seguito aprì un rifugio su monte Elmo, tre anni dopo aprì la Dreizinnenhütte, (oggi rifugio Antonio Locatelli) sulle Tre Cime di Lavaredo, e successivamente anche il rifugio Zsigmondy.
Con i proventi della gestione dei rifugi, nel 1903 costruì a Sesto «villa Innerkofler» e cinque anni dopo aprì in Val Fiscalina l’albergo Dolomiten, dotato dei più moderni comfort per l’epoca.
Grazie all’afflusso turistico creatosi, migliaia di persone iniziarono a interessarsi alle Dolomiti e Innerkofler diventò uno degli uomini più ricchi e famosi della valle di Sesto, conosciuto negli ambienti alpinistici di tutta Europa.
Sepp aveva fatto parlare di sé appena ventenne per la straordinaria scalata della parete nord della piccola Zinne, la Cima Piccola di Lavaredo, il 28 luglio 1890, assieme a due amici e da allora iniziò ad accompagnare centinaia di persone in montagna.
Il 28 luglio 1914, quando scoppiò il conflitto, l’allora quarantanovenne Innerkofler, ritenuto troppo anziano per la guerra, non venne arruolato, ma quando le battaglie tra Austria-Ungheria e Italia si avvicinarono alle sue montagne, il 19 maggio 1915 decise di partire volontario fra gli Standschützen, formazioni tirolesi nate da nuclei di volontari di tiratori scelti, il cui impiego in guerra era previsto non lontano dalle loro sedi di appartenenza.
La zona dove venne chiamato ad operare Innerkofler fu il “V Rayon”, ossia il settore compreso tra il passo Pordoi e il monte Peralba e il 20 maggio venne costituita la «Pattuglia volante» composta da Innerkofler e dalle guide alpine con il compito di pattugliare continuamente il tratto di fronte montano con l’obiettivo di scoprire le iniziative nemiche, indirizzare il tiro delle artiglierie e trovare i percorsi migliori per lo spostamento delle truppe.
Tre giorni prima della dichiarazione di guerra, Innerkofler scalò per l’ultima volta in solitaria la vetta a lui forse più cara, il monte Paterno; furono le ultime ore di pace: infatti due giorni dopo, quando venne incaricato di scalare con la sua pattuglia nuovamente il Paterno per indirizzare il tiro delle artiglierie, la guerra ormai imperversava su tutto il fronte.
Dal monte Paterno, il 25 maggio, Innerkofler fu costretto a vedere gli italiani colpire con l’artiglieria il suo rifugio, incendiandolo nonostante la grande bandiera con la Croce Rossa che sventolava sul rifugio Dreizinnenhütte, erano infatti convinti che lo stabile non ospitasse feriti o malati, ma che la bandiera della Croce Rossa nascondesse in realtà un deposito di munizioni o un comando austriaco.
Nel corso della notte di due giorni dopo Innerkofler salì nuovamente sul Paterno per dirigere il fuoco di artiglieria sulle posizioni italiane, mentre, dietro loro suggerimento, il comandante dei Landstürmer decise di attaccare la Forcella di Lavaredo.
Ma appena gli austriaci avanzarono, furono presi di mira dal fuoco dei fucilieri italiani appostati sulla sinistra della base del Paterno; le due guide alpine dall’alto aprirono il fuoco contro gli italiani che si ritirarono ritenendo il monte già in mano nemica.
Innerkofler gridò quindi ai Landstürmer di continuare ad avanzare verso la forcella ormai sgombra, ma gli austriaci sospesero l’attacco, probabilmente a causa di un ordine telefonico impartito da un ufficiale dalla Val Pusteria.
Il 29 maggio un plotone di alpini, sfidando una bufera di neve, salì sulla vetta del Paterno, stabilendovi un presidio e causando notevoli preoccupazioni per il comando austriaco, avrebbe ora consentito agli italiani di minacciare gravemente lo schieramento austro-ungarico sull’altopiano delle Tre Cime e dirigersi verso la Val Pusteria.
Seguirono settimane di intensa attività per la guida e la sua pattuglia, mentre gradualmente gli ufficiali di carriera si resero conto che in questo settore era possibile organizzare una difesa efficiente soltanto a condizione di far operare pattuglie composte da ex-guide alpine agli ordini di Innerkofler, che potevano sfruttare la sua enorme conoscenza dei luoghi.
La guida operò instancabilmente tra Kreuzberg e le Tre Cime, dispensando consigli ai comandanti, e probabilmente fu grazie alla molta considerazione che questi avevano di lui che furono respinti gli attacchi italiani dal Rotwand all’Elfer, da Cima Dodici all’Einser.
Il 2 giugno Innerkofler con i suoi uomini scalò Cima Undici e cinque giorni dopo monte Popera, dal quale la vista poteva giungere fino al mare, gli italiani si resero conto che il fronte si stava chiudendo in un cerchio inespugnabile e che il lavoro delle guide austriache avrebbe presto consentito al nemico di occupare le cime del settore.
Il 18 giugno Innerkofler scalò nuovamente Cima Undici, aprendo un cammino mai percorso prima, con lo scopo di sorprendere e venire a contatto con le pattuglie degli alpini che da sud cercavano di avanzare dentro il massiccio montano.
Con due audaci azioni la “Pattuglia Volante” ricacciò indietro gli italiani e al suo ritorno Innerkofler fu promosso sergente maggiore e ricevette la medaglia al valore di seconda classe.
Successivamente Innerkofler tornò a Cima Undici dove poté notare che le truppe italiane stavano lentamente avanzando fino a Forcella Giralba; ne seguì un violento scontro a fuoco con gli alpini, che furono costretti a retrocedere; per questa azione gli venne assegnata la medaglia d’argento.
Tornò poi nella zona presso le Tre Cime, dove accadde ciò che Innerkofler aveva tentato invano di spiegare ai comandi: secondo lui il monte Paterno sarebbe stato da occupare in anticipo rispetto agli italiani, ma ormai era tardi, e pochi giorni prima la vetta era stata occupata dai nemici.
Così nella seconda metà del mese di giugno il feldmaresciallo Ludwig Goiginger in persona intervenne per organizzare un attacco per riprendere la vetta del Paterno, a cui avrebbero partecipato pochi uomini.
Sepp Innerkofler si disse molto perplesso sull’azione, giudicata dall’esperta guida molto difficile: lui e i suoi uomini avrebbero dovuto compiere un’ascesa di per sé stessa molto impegnativa appesantiti dalle armi, per poi giungere in vetta e ingaggiare una battaglia contro forze numericamente superiori, ma l’azione era ormai decisa e Innerkofler, per non passare da vigliacco, vi volle prender parte impedendo però al figlio di seguirlo.
Nella notte tra il 3 e il 4 luglio iniziarono la scalata del Paterno e al sorgere del giorno arrivarono poco sotto la vetta, la batteria austriaca quindi aprì il fuoco verso la zona presidiata da una manciata di alpini, mentre in basso una piccola schiera di Schützen iniziò ad avanzare verso Forcella del Camoscio.
Dopo pochi minuti di bombardamento Sepp Innerkofler sventolò una piccola bandiera gialla, ordinando di cessare il bombardamento e iniziò quindi la breve scalata verso la vetta, ma la reazione degli alpini fu immediata; mitragliatrici e artiglieria aprirono il fuoco contro le due colonne degli attaccanti.
La squadra inviata contro la forcella fu rapidamente costretta a ritirarsi a causa dell’intenso fuoco degli alpini proveniente dalla forcella stessa e dal fuoco amico proveniente dall’Alpe dei Piani, dove gli austriaci non erano stati informati dell’azione.
Più in alto, ormai a poco meno di dieci metri dalla cima, Innerkofler iniziò il suo attacco lanciando una prima bomba a mano contro gli alpini a cui non seguì nessuna esplosione; quindi tentò una seconda volta, ma anche questa non esplose, fu in questo frangente che Sepp Innerkofler cadde per mano dei difensori italiani in circostanze mai del tutto chiarite.
L’azione ebbe esito negativo e gli attaccanti si ritirarono e ridiscesero a valle, nei giorni seguenti gli alpini tentarono invano di recuperare la salma, impediti però dalle difficoltà tecniche e dal tiro degli austriaci, che dalle loro postazioni mitragliavano chiunque si mostrasse.
La salma di Sepp Innerkofler venne recuperata solo alcuni giorni dopo per iniziativa del portaferiti Angelo Loschi, che con un alpino, sotto il fuoco nemico, riuscì con grande difficoltà a recuperare il corpo dal Camino Oppel.
Sulle cause che portarono alla morte della famosa guida austriaca nacquero fin da subito alcune divergenze, soprattutto legate alle diverse testimonianze discordanti: alcuni riportarono che fu una pallottola a colpire in fronte Sepp Innerkofler, mentre altri affermarono che mentre stava attaccando, sopra a Sepp, apparve la figura dell’alpino Pietro De Luca, del battaglione Val Piave, che con un masso colpì in pieno la guida austriaca facendola precipitare dentro il “camino Oppel”.
A più di sessant’anni di distanza, il più giovane dei figli di Sepp, Joseph Innerkofler, fornì una inedita versione secondo la quale il padre venne ucciso nella concitazione dell’attacco dal fuoco di una mitragliatrice austriaca situata sulla forcella di San Candido, e stabilmente puntata verso la vetta del Paterno.
Non esistono risposte certe, e dopo il recupero della salma non fu possibile accertare le cause della morte dato che sia nel caso di un colpo di arma da fuoco, sia nel caso fosse stato colpito da un masso, il corpo precipitato per molti metri in un canalone rimase per molto tempo esposto a lesioni sia a causa di massi caduti sia per possibili colpi da arma da fuoco.
La riesumazione dalla vetta del Paterno nel 1918 non riuscì a fugare i dubbi, come neppure le discordanti testimonianze, ma più delle cause della sua morte fu soprattutto il ricordo e i sentimenti che hanno circondato la figura di Innerkofler a renderlo famoso e amato, la sua figura raggiunse giustamente una fama leggendaria.
Ma questa, è un’altra storia.

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