S:3 – Ep:55
Charles e Joseph sono due persone qualunque.

Charles Samuel Myers nacque a Kensington il 13 marzo 1873, figlio maggiore di Wolf Myers, un mercante, e di sua moglie, Esther Eugenie Moses, la sua famiglia era ebrea, frequentò il Gonville and Caius College di Cambridge dove ottenne il massimo dei voti e ricevette la laurea in Medicina nell’ottobre 1901, si formò presso lo St Bartholomew’s Hospital di Londra.
Joseph Jules François Félix Babiński nacque a Parigi il 17 novembre 1857, i genitori erano fuggiti da Varsavia a causa della repressione russa rifugiandosi in Francia dove nacque Joseph, si iscrisse poi alla Scuola di medicina dell’Università di Parigi, con ottimi profitti, facendosi notare da Jean-Martin Charcot, professore di neurologia all’ospedale la Salpêtrière, e diventò il suo studente preferito, si laureò in medicina nel 1884 con una tesi sulla sclerosi multipla e divenne medico degli ospedali parigini, e poi, primario all’Ospedale della Pietà di Parigi.
Nel 1915 Charles Myers ricevette un incarico nel Royal Army Medical Corps e nel 1916 fu nominato psicologo consulente per gli eserciti britannici in Francia con uno staff di assistenti a Le Touquet, mentre Babinski si fidava del tutto della clinica per formulare la diagnosi, senza dipendere da esami strumentali e di laboratorio, che convenzionalmente avevano la precedenza.
Durante e dopo la prima guerra mondiale migliaia di soldati riportarono gravi disturbi mentali, ma non fu subito evidente che la causa fosse aver partecipato alla guerra, perché non si pensava potesse essere un fattore scatenante la psicopatologia.
In questo episodio del nostro podcast parleremo per questo motivo di Babinski e Myers, il termine “shell shock” fu utilizzato per la prima volta nel 1915 proprio dallo psicologo Charles Myers sulla rivista medica The Lancet, coniato durante la battaglia di Loos per esporre un presunto collegamento tra i sintomi e gli effetti delle esplosioni dei proiettili di artiglieria.
Durante le prime fasi della prima guerra mondiale, nel 1914, i soldati della British Expeditionary Force iniziarono a segnalare sintomi medici dopo il combattimento, tra cui acufene, amnesia, mal di testa, vertigini, tremori e ipersensibilità al rumore.
Mentre questi sintomi assomigliavano a quelli che ci si aspetterebbe dopo una ferita fisica al cervello, molti di coloro che si dichiaravano malati non mostravano segni di ferite alla testa, entro dicembre 1914 fino al 10% degli ufficiali britannici e il 4% degli uomini arruolati stavano vivendo “uno shock nervoso e mentale”, il numero di casi aumentò nel 1915 e nel 1916; tuttavia, rimase poco compreso dal punto di vista medico e psicologico.
Myers ipotizzò che le lesioni cerebrali fossero una conseguenza della vicinanza ai bombardamenti, dovute al rumore eccessivo e all’avvelenamento da monossido di carbonio formato dalle esplosioni, ma ciò risultò infondato, in quanto i danni cerebrali erano presenti anche in soggetti lontani dai bombardamenti.
I soldati vennero portati nei manicomi, dove spesso la terapia consisteva nell’elettroshock; alcuni persero il senno, altri accusarono per tutta la vita disturbi più o meno invalidanti, il neurologo francese Joseph Babinski nel 1917 attribuì i sintomi all’isteria, disturbo che si riteneva diffuso solo tra le donne (isteros significa utero, in greco).
Suggerì quindi di curarlo come allora si trattava l’isteria femminile: con l’ipnosi, quindi propose questo tipo di trattamento ai soldati, anche ottenendone risultati promettenti ma si diffuse pure l’idea che i sintomi riportati dai soldati fossero finzioni, attuate per non tornare al fronte.
In Italia venne ritenuto sconveniente attribuire alla guerra i traumi psichici riportati dai militari dal momento che il servizio militare di leva era obbligatorio, inoltre tra gli psichiatri prevalse la teoria di una particolare vulnerabilità e predisposizione genetica alla malattia, oppure che potesse trattarsi della simulazione detta prima.
Coloro che al rientro dal fronte manifestavano strani comportamenti e che venivano indubitabilmente assolti dall’accusa di “simulazione”, venivano spediti nei manicomi: in Italia a fine 1918 si ospitarono circa 40.000 pazienti per i quali la cura definitiva era l’elettroshock da 70 volt.
Gli psichiatri italiani iniziarono ad indagare, iniziarono con i disturbi mentali dei soldati utilizzando gli studi di Lombroso, basato su analisi e rilevazioni fisiognomiche e craniometriche, attribuendo certe devianze al cosiddetto “degenerazionismo della specie”.
Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, era stato un medico, antropologo, filosofo, giurista e criminologo italiano, da taluni studiosi viene visto come il padre della moderna criminologia, il suo lavoro era stato fortemente influenzato dalla fisiognomica e fu uno dei pionieri degli studi sulla criminalità.
Sebbene a Lombroso vada riconosciuto il merito di aver tentato un primo approccio sistematico a questo studio, la maggior parte delle sue teorie risultano oggi destituite di ogni fondamento scientifico, tanto che molti studiosi lo definirono poi come un visionario, così, al termine di un controverso percorso accademico e professionale, Lombroso fu anche radiato, nel 1882, dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia.
Nonostante questo, sulla base della sua teoria sulla degenerazione psichiatrica, una corrente di pensiero sviluppatasi a partire dalla metà dell’Ottocento che ricollegava l’insorgenza delle patologie psichiatriche ad una degenerazione del sistema nervoso dovuta a fattori esterni, migliaia di soldati furono messi nei manicomi, oppure tornarono a casa destinati a cure private, e la gente prese a chiamarli «scemi di guerra».
Lo shell shock poteva manifestarsi in modalità ed intensità differenti, nelle cartelle cliniche i sintomi potevano essere definiti come esaltamento maniacale, eccitamento psicomotorio, accesso confusionale, confusione allucinatoria, confusione mentale e delirio sensoriale, tremori irrefrenabili e ovvia ipersensibilità al rumore.
Coloro che ne erano colpiti erano descritti come uomini inespressivi, che volgevano intorno a sé lo sguardo come uccelli chiusi in gabbia o che mangiavano quello che capitava, cenere, immondizia, terra e passavano inoltre dalla diarrea incontrollabile all’ansia implacabile, da tic isterici a crampi allo stomaco.
Le forme più comuni di malattie mentali riportate dai soldati riguardavano il delirio di persecuzione, l’amnesia, la perdita della capacità di esprimersi, l’incapacità di sopprimere i ricordi o la rimozione di qualsiasi cosa avesse a che fare con la guerra, la perdita temporanea delle percezioni del mondo esterno, le allucinazioni, le disfunzioni motorie, gli arresti psichici, le ossessioni ipocondriache.
I militari venivano curati nella speranza di poter ripristinare il numero massimo di uomini in guerra il più rapidamente possibile, ma quattro quinti dei soldati entrati in ospedale in stato di shock non furono mai più in grado di tornare al servizio militare.
Secondo un sondaggio militare pubblicato nel 1917, il rapporto tra ufficiali e soldati colpiti da shell shock era di 1:30, mentre secondo gli ospedali specializzati in nevrosi di guerra, il rapporto era invece di 1:6.
Se vi era una “paralisi dei nervi”, la cura consisteva in massaggi, riposo, dieta appropriata e trattamento con scosse elettriche, se veniva indicata una fonte psicologica, allora il recupero veniva accelerato con la “cura parlante”, l’ipnosi ed il riposo.
In ogni caso, i pazienti dovevano essere indotti ad affrontare la malattia in modo virile, poiché la loro reputazione di soldati e uomini aveva subito un duro colpo, manifestando i segni della “debolezza” emotiva nell’uomo.
Si diede il via libera anche all’accusa di “femminilizzazione” o di “omosessualità latente”, e a una serie di trattamenti di tipo decisamente punitivo, come le aggressioni verbali e forti scosse di corrente elettrica alla laringe (in caso di mutismo) o alle gambe (in caso di immobilità).
Inizialmente, le vittime di shock da proiettile vennero rapidamente evacuate dalla linea del fronte, in parte a causa della paura del loro comportamento spesso pericoloso e imprevedibile, ma con l’aumento delle dimensioni della British Expeditionary Force e la diminuzione della manodopera, il numero di casi di shock da proiettile divenne un problema crescente per le autorità militari.
Nella battaglia della Somme nel 1916, fino al 40% delle vittime fu colpito da shock da proiettile, il che determinò la preoccupazione per un’epidemia di vittime psichiatriche, che non poteva essere affrontata né in termini militari né finanziari.
Con la battaglia di Passchendaele del 1917, l’esercito britannico aveva sviluppato metodi per ridurre lo shell shock, a un uomo che iniziava a mostrarne i sintomi gli veniva concesso qualche giorno di riposo dal suo ufficiale medico locale, così facendo il numero di casi di shock da proiettile fu relativamente basso.
Joseph Babinski morì per le complicazioni di una patologia neurologica nel 1922, la malattia di Parkinson, mentre Myers divenne frustrato dall’opposizione alle sue opinioni durante il suo periodo nell’esercito, in particolare dall’opinione che lo shock da proiettile fosse una condizione curabile.
Dopo la guerra, Myers tornò al suo incarico a Cambridge ma anche qui era profondamente insoddisfatto, desiderava maggiori opportunità per lo sviluppo dei suoi interessi più pratici e riteneva che i circoli ufficiali e accademici mostrassero poco interesse genuino per la psicologia.
Dal 1922 Myers si dedicò allo sviluppo del National Institute of Industrial Psychology che aveva fondato con Henry John Welch nel 1921, i suoi sforzi sono stati definiti “una lotta pionieristica ma frustrante per far accettare le prove psicologiche e la psicologia applicata”.
Fu così sconvolto dal rifiuto delle sue idee da parte delle autorità militari che si rifiutò di fornire prove al Southborough Committee sullo shell shock perché, come scrisse nel 1940, “il ricordo del mio lavoro degli ultimi cinque anni si rivelò troppo doloroso per me”.
Ma questa, è un’altra storia.

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