S:3-Ep:53
Aniello, Marcello ed Emilio sono persone qualunque.

Venti giorni sull’Ortigara – senza il cambio per dismontà; – ta pum ta pum ta pum
Con la testa pien de peoci – senza rancio da consumar; – “ta pum ta pum ta pum”
Quando poi ti discendi al piano – battaglione non hai più soldà; – “ta pum ta pum ta pum”
Dietro al ponte c’è un cimitero – cimitero di noi soldà; – ta pum ta pum ta pum
Quando sei dietro a quel muretto – soldatino non puoi più parlar; – ta pum ta pum ta pum
Cimitero di noi soldati – forse un giorno ti vengo a trovà; – ta pum ta pum ta pum
In quegli anni gli alpini elaborarono alcune delle canzoni che oggi fanno parte del repertorio dei canti di montagna, come il sopra citato Tapum, il titolo ed il ritornello sono ispirati al rumore degli spari sul campo di battaglia: il “TA” è il rumore dell’innesto della pallottola e il “PUM” il rumore dello sparo dei fucili Steyr Mannlicher m1895 in dotazione alle truppe austro-ungariche.
Monte Canino, che fa riferimento al Monte Canin in provincia di Udine, teatro, durante la prima guerra mondiale di aspri combattimenti tra l’esercito italiano e quello austriaco, Monte Nero, che racconta quando il 16 giugno 1915 i battaglioni del 3º Reggimento Alpini, comandato dal colonnello Donato Etna, con un’azione notturna occuparono la cima del Monte Nero, nelle alpi Giulie, esempio di brillante azione bellica che ebbe però un costo assai elevato in termini di vite umane; e altre ancora parlano delle imprese epiche dei militari della Grande Guerra, ma la canzone più cantata dagli alpini fu un brano che non ha relazione con la guerra stessa ma che divenne allora famoso in tutt’Italia, e cioè Quel mazzolin di fiori.
Con questo nostro 53° episodio festeggiamo il primo anno del nostro podcast e, come è usanza nei festeggiamenti, non può certo mancare la musica, e visto che ci teniamo ad essere coerenti, parleremo oggi della musica della prima guerra mondiale.
I soldati soffrivano fisicamente e moralmente durante le dure battaglie della grande guerra; al tempo si diffuse un modo di dire entrato poi nella lingua corrente: “Canta che ti passa”.
Anche la canzone napoletana diede alla luce alcuni brani in cui il protagonista era un soldato, ad esempio ‘Sentinella’ e ‘O primmo reggimento’, il più famoso di essi fu certamente ‘O surdato ‘nnammurato di Aniello Califano.
Aniello Michele Califano nacque a Sorrento il 19 gennaio 1870, il 24 maggio del 1915 il generale Cadorna firmava il bollettino di guerra numero 1, l’ottava delle undici canzoni pubblicate da Califano in quell’anno si intitolò, per l’appunto, ‘O Surdato ‘nnammurato e descriveva la tristezza di un soldato che combatteva al fronte durante la prima guerra mondiale e che soffriva per la lontananza dalla donna di cui era innamorato.
Ma la frustrazione del continuo della prima guerra mondiale andò più in là, la durezza della guerra di trincea e l’enorme numero di vittime cadute per conquistare pochi metri di terreno suscitarono nei soldati sentimenti di rabbia che si espressero in canzoni come La tradotta che parte da Novara e O Gorizia tu sei maledetta.
Gorizia tu sei maledetta, semplicemente ricordata come Gorizia, faceva riferimento alla Sesta battaglia dell’Isonzo in cui persero la vita circa 21 000 soldati italiani e 9 000 soldati austroungarici, la versione originale venne raccolta secondo la testimonianza di un uomo che l’aveva ascoltata dai fanti durante la presa di Gorizia, il 10 agosto.
Ma la canzone, nata dalla frustrazione dei soldati italiani che aveva portato alla conquista della missione al prezzo di un alto costo in vite umane, era considerata come immorale, disfattista e di stampo anti-bellico dai vertici militari italiani, che decretarono che chiunque fosse stato sorpreso a cantarla, sarebbe stato passato per le armi.
Dall’altra parte anche i soldati trentini cantavano testi antimilitaristi come Sui monti Scarpazi, un canto di trincea dei kaiserjäger austriaci di lingua italiana mandati in Galizia nel 1914 e in Romania nel 1917 a combattere sui monti Carpazi, alcune di queste canzoni di protesta individuavano i responsabili del conflitto, che indicavano negli studenti (Ascoltate o popolo ignorante) e nei signori (E quei vigliacchi di quei signori/Cadorna).
Fra i pochi canti entusiasti, che esaltavano le azioni militari, c’erano quelli cantati dagli arditi, i quali elaborarono un proprio canzoniere: Fiamme nere, Se non ci conoscete, e soprattutto Giovinezza.
Nella versione di Marcello Manni, canzoniere, divenne poi la base del repertorio fascista, l’inno fu cantato dai reparti d’assalto impegnati, dopo Caporetto, sulla linea del Piave.
Manni era reduce dal fronte di guerra cui aveva partecipato meritando una medaglia di bronzo al valor militare, aderì poi al movimento fascista che si stava formando a Firenze intorno ad Alessandro Pavolini.
Successivamente però, cioè dopo il fervore dell’immediato dopoguerra e del consolidamento del regime fascista, Manni sembrò disinteressarsi alla politica e non ebbe alcun ruolo nelle vicende che segnarono l’affermarsi dell’egemonia mussoliniana.
Nel 1943, alla caduta del fascismo e in pieno marasma istituzionale, fu però naturalmente riassorbito dalla sua famiglia ideologica e aderì alla Repubblica di Salò, mettendo la sua esperienza di giornalista a disposizione del declinante regime.
La rotta di Caporetto e il conseguente disordine hanno lasciato poche tracce in musica, si può ricordare Adio Venesia adio, cantata dai profughi che fuggivano dalle zone occupate dagli Austriaci, o che si temeva potessero esserlo, come appunto Venezia.
Invece la successiva resistenza sulla linea del Piave e sul Monte Grappa contro l’invasione austriaca di una parte del territorio nazionale ispirarono canzoni patriottiche di successo come quelle di E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, un paroliere e poeta italiano, autore di numerose canzoni di grande successo di quel periodo tra cui La canzone del Piave.
La leggenda del Piave, in particolare, fu così popolare che nel difficile periodo successivo all’8 settembre fu scelta come inno nazionale italiano, in cui tutti potessero riconoscersi al di sopra delle divisioni politiche.
Ma oltre ad essa, si cantava anche la Canzone del Grappa i cui autori furono il capitano Antonio Meneghetti, che su sollecitazione del generale Emilio De Bono, Comandante del IX Corpo d’Armata, scrisse di getto la musica il 5 agosto 1918 presso Villa Dolfin Boldù di Rosà, e lo stesso De Bono scrisse il testo prendendo spunto da una scritta anonima apparsa sui muri di una casa della Val Cismon, allora occupata dall’esercito austriaco, che recitava appunto: «Monte Grappa tu sei la mia Patria».
Emilio De Bono fu poi anche un membro del Partito Nazionale Fascista fu uno dei quadrumviri della marcia su Roma.
Maresciallo d’Italia e membro del Gran Consiglio del Fascismo, De Bono partecipò alla guerra italo-turca, alla prima guerra mondiale e alla guerra d’Etiopia. In quest’ultima comandò l’esercito Italiano durante le prime fasi della guerra.
Anche le vicende editoriali delle canzoni della Grande Guerra sono significative, la maggior parte di esse furono infatti incise su disco negli stessi anni in cui venivano scritte.
Alcuni repertori, invece, come quelli degli alpini e degli arditi, non vennero immediatamente registrati, ma furono raccolti in canzonieri negli anni successivi.
La vicenda più tribolata fu in ogni modo quella di O Gorizia tu sei maledetta, questo canto non fu eseguito pubblicamente fino al 1964, e quando ciò avvenne, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, gli esecutori Michele Straniero e il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, furono denunciati per vilipendio delle forze armate.
Ma questa, è un’altra storia.

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